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CHIESA DI SAN GIANUARIO

Di Mhlsassa – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=82960545

Sul colle cosiddetto della Civita, si trova la chiesa dedicata a San Gianuario vescovo e martire, l’edificio ha sostituito l’antica badia dedicata a Santo Stefano. La quale venne edificata a sua volta sulle antiche rovine di un tempio dedicato al dio Serapide. Non vi è prova della data esatta della costruzione dell’edificio religioso, ma alla traslazione del corpo del santo, avvenuta nell’anno 853 d.C. l’abate dell’epoca ne constatava il possesso in uno scritto che riportava notizie sul fatto che ad accogliere le spoglie del santo sarebbe stata la chiesa della badia, possiamo quindi solamente carpire che l’edificio esisteva già nel IX secolo, sono state rinvenute sepolture del VI secolo, ma questo attesta solamente l’antica sacralità del luogo.

Per la tradizione infatti, una donna del posto sognò il luogo di sepoltura di San Gianuario, giustiziato sul vicino monte Arioso in epoca romana, si decise quindi di affidare a un carro che trasportava il corpo del santo a due buoi, lasciandoli liberi di muoversi. Gli animali si diressero verso Marsico e si fermarono davanti alla Badia di Santo Stefano (l’attuale chiesa di San Gianuario).[9]

Secondo le memorie di alcune famiglie nobili,[10] il conte di Marsico: Osmondo Missaniello ne finanziò la ricostruzione nel 1071, poiché la badia cadde diruta, in un’iscrizione del campanile è evidente che tale opera fu portata a termine dal successore Rinaldo di Malconvenienza, dalla famiglia di questi l’abbazia ebbe molti doni, fra cui possedimenti terrieri, e due chiese di cui una a Calvello.

Restaurata nel 1172 secondo versi leonini su lapide citati, ma non più ritrovati, con marmi e sculture, i principi normanni dedicarono molta cura all’edificio, arricchendolo di opere. Le donazioni aumentarono ulteriormente, vista anche la fortuna dell’edificio nell’ospitare reliquie ed essere ente autonomo in quanto abbazia. A sottolineare ciò vi è la donazione dal parte della famiglia Guarna, che prese il governo della cittadina in seguito ai Normanni, la donazione nel 1201 dei territori boschivi di due monti posti ai piedi dell’Appennino nella località Pietra Rubea (oggi Pietra Roggia). Alla soppressione nel XV secolo le cospicue rendite si trasferirono persino alla Cappella Sistina in Roma.

Nel 1502 Gonzalo Fernández de Córdoba incendiò Marsico e i suoi soldati rubarono una gamba di san Gianuario. Rientrati in Spagna lo portarono nella città di Ciudad Rodrigo, dove si venera il culto di Gianuario

L’amministrazione di essa terminò con l’abate Pietro Francesco Giusto, che secondo l’iscrizione ancora visibile sulla destra del portale, aveva influenza persino sul Re Filippo II e sul pontefice Gregorio XIV (è infatti riportatat la dicitura “ambor familiaris” interpretata come sottolineatura dell’intimità dell’abate con entrambi), egli effettuò l’ultimo restauro nel 1591. Alla soppressione l’urna del corpo del Santo rimase in una cappella, l’amministrazione passò a chierici con il titolo abbaziale, i cosiddetti abati secolari.

Nel 1593 il papa Clemente VIII ordinò al cardinale Montalto di scrivere al vescovo di Capaccio, informandolo che all’interno della chiesa vi erano stati miracoli operati da una statua della Madonna della Speranza, che avrebbe pianto sangue. “illumina ciechi, sana storpi, libera agonizzanti in tempo di morte”. Lo scomodarsi del pontefice portò la popolazione a effettuare varie processioni e a celebrarne la festività il 5 agosto. Questa lettera riporta chiaramente la dicitura “Chiesa di San Gianuario”, non più “badia di Santo Stefano”. Nel secolo successivo l’edificio attestò la sua importanza come chiesa, anche a causa del cedimento dell’edificio monacale, fino al 1826, quando a Febbraio un crollo gravissimo provocò l’evacuazione dei reperti a causa di un sisma, compreso il corpo del santo, la quale avvenne solo l’anno successivo grazie alla cura del vescovo Marolda, il 31 gennaio. Questo è noto grazie a una bolla rinvenuta nell’urna nell’anno 1950.

I lavori di ricostruzione intrapresi dal vescovo Ignazio Marolda in tutta la Civita, terminarono tutti in un ventennio. Oggi la chiesa è posta in fondo a un ampio sagrato, Al suo interno sono presenti quattro colonne serapidee che introducono all’aula liturgica, molte colonne sono state rinvenute nel versante ove sono finiti i detriti del crollo, e fanno ipotizzare la presenza di un colonnato nelle strutture antecedenti, a tre navate, a croce latina. Oltre all’urna del santo e al gioco di buoi che lo portò, leggendariamente in tale luogo, si trovano tele del XVII e XVIII degli artisti Simonelli, Mangieri e Peccheneda, raffiguranti: l’ultima cena, Santa Caterina e Santo Stefano. Era nella chiesa anche una pala raffigurante la crocifissione, ora a San Michele, purtroppo in stato di degrado. Nel portale sormontato da capitelli corinzi decorati con bassorilievi raffiguranti animali, sono scolpite immagini di vescovi e abati medievali.

L’opera attribuita alla scuola di mastro Melchiorre da Montalbano è stata dichiarata monumento nazionale. La statua di San Gianuario del 1714 è anch’essa qui custodita.