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TERRA PANE E LAVORO (direzione musicale di Rocco Nigro)

Questo disco è un viaggio musicale legato al mondo bracciantile e popolare del Salento, che va da fine Ottocento fino al movimento di occupazione delle terre del 1949-1951. Uno spaccato di testi e musiche che riprende alcuni momenti storici salienti e si dipana tra inni di lotta, protesta e canti sociali, fino a trattare temi quali le grandi guerre e l’emigrazione. Il lavoro discografico segue nella successione dei brani l’ordine temporale degli avvenimenti. Le voci di Rachele Andrioli, Antonio Castrignanò, Massimiliano De Marco, Dario Muci, Giancarlo Paglialunga e delle sorelle Gaballo, soliste e in coro, sono le protagoniste.

Il disco si apre con due momenti ben precisi della lotta proletaria salentina. Il primo pezzo, Lu prima Maggiu, è ispirato al testo in dialetto gallipolino scritto da Vincenzo Cataldi nel 1891, in cui s’invitava la popolazione a prendere parte alla festa del Primo Maggio. Nel volantino è indicato: “Quista se canta cu

la stessa aria te la canzone: A ncorpu la buscau o lu Ciarmaniu”, ma la melodia è andata perduta. Dario Muci narra la vicenda e ne riscrive la linea melodica. Il canto è accompagnato da una chitarra prima e da una banda in parata poi.

Il secondo brano narra le vicende del 9 Aprile 1920 a Nardò: è il giorno in cui Giuseppe Giurgola – rivoluzionario socialista – e Gregorio Primitivo – capo della lega dei muratori – guidarono un corteo di cinquemila rivoltosi fino al Municipio e staccarono i ritratti dei sovrani, emblemi della monarchia, proclamando la Repubblica Neretina. L’insurrezione fu stroncata sul nascere e durò un solo giorno.

Riprendendo il testo della Ballata del nove aprile scritto da Vittorio Raho, intellettuale neretino, Rocco Nigro scrive la musica e il motivo de La Repubblica di Nardò cantata da Massimiliano De Marco.

Sentiti tabacchine, registrato da Luigi Chiriatti negli anni Settanta, è un canto di denuncia delle dure condizioni di lavoro delle tabacchine. Eseguito da Giancarlo Paglialunga, è accompagnato da sole voci su un tappeto di percussioni popolari: violino a sonagli, cupa cupa, cucchiai e tamburello.

L’America riprende il tema dell’emigrazione. Nel brano, interpretato da Rachele Andrioli, la rabbia di una donna si scaglia contro il marito partito per il nuovo mondo. Qui l’arrangiamento è fortemente legato al terzinato tipico di tutta l’Italia meridionale, da cui parte il “lamento gridato”.

La traccia successiva è La pacenzia – testo di Rina Durante, musica di Daniele Durante – cantata e narrata da Antonio Castrignanò. È una surreale interpretazione della creazione, in cui Dio dà udienza ai diversi ceti sociali per concedere loro benefici. Ma i contadini, arrivati per ultimi, come al solito «si duvettera contentare». L’orchestrazione asseconda i momenti e i protagonisti del racconto, traironia e solennità.

La guerra fa da sfondo alle due tracce seguenti. Mi presi la cavalla è lo straziante lamento di un soldato, tornato dalla guerra, sulla tomba della promessa sposa. È un canto per sole voci eseguito dalle sorelle Gaballo, custodi della polivocalità popolare. Ne L’Albania, Rachele Andrioli interpreta l’ansiosa attesa dell’amato partito in guerra. L’arrangiamento viaggia dal sud dell’Albania a un onirico meridione d’Italia.

Si prosegue con due brani in cui si trova la vecchia maniera di esorcizzare la sofferenza, di alleggerire il peso del quotidiano: il contrasto tra la durezza dei temi trattati e i modi e le armonie maggiori. Entrambi prendono vari titoli e forme a seconda dalla zona di provenienza. Ne La mescianza, si elencano le differenze tra le varie maestranze: i più sfortunati sono, ancora una volta, i contadini.

In Scusati amici cari, registrato nel 1954 da Alan Lomax a Galatone, si racconta con aria di festa di fatti sociali e politici al limite del tragicomico.

A chiudere l’opera due brani che narrano le vicende dell’occupazione delle terre d’Arneo. Ne La ballata delle terre occupate il testo è di Antonio Ventura, tra i protagonisti di spicco del movimento di lotta, rielaborato successivamente da Vittorio Raho. La linea melodica è, invece, delle donne: Sara Alibrandi, Antonietta Pati e altre che parteciparono all’occupazione. Riproposto qui in chiave moderna, si è scelto di accompagnare il canto con una lirica marcia per mandolino, tromba, clarinetto e rullante. Sic transit gloria mundi. Quella storia di certi cafoni è una elaborazione di Rooco Nigro del testo di Rosso l’Arneo di Vittorio Raho, ispirata alla tradizione dei cantastorie. È l’unico brano in tonalità minore, in cui la voce è accompagnata da un ritmo incalzante e da un tema malinconico. I versi di Vittorio Raho si intrecciano a stralci dell’intervista a Giuseppe Calasso, storico dirigente del Pci salentino.

Questo progetto discografico è stato pubblicato in prima edizione come allegato al volume curato da Luigi e Paolo Chiriatti, Terra Rossa d’Arneo. Le occupazioni del 1949-1951 nelle voci dei protagonisti, Kurumuny, 2017.