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MAIORI

Maiori – Veduta
Di Pietro Di Fontana – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=64837952

La leggenda principale, narrata dallo scrittore latino Plinio, vuole che la città di Maiori discenda dalla dea Maia, il quale nome, tradotto dal latino, assume il significato di “colei che porta crescita”[2] oppure “colei che è grande”[4][5], in correlazione al nome stesso della città. Altre leggende dicono che a Maiori i greci avessero dedicato un tempio alla dea BoxsturaI o che Ercole fosse arrivato fino al Falerzio: pare che nell’agro dove odiernamente trova spazio la frazione maiorese di Erchie si ergesse un tempio dedicato all’eroe[10].

La fondazione della città, come già si è detto, si attribuisce al popolo etrusco[11]. Alla sopracitata tesi di Cerasuoli però lo storico A. M. Fresa volle aggiungere la tesi secondo la quale la città venne fondata dagli abitanti del vicino insediamento di Marcinna (odierna Vietri sul Mare), fuggiti dalla città in seguito ad una forte alluvione o ad un saccheggio. Questo ipotetico trasferimento della popolazione di Marcinna giustificherebbe anche, secondo lo storico, la forte evoluzione marinara che la città sviluppò nel tempo[10].

Nel IV secolo a.C. i picentini, popolo italico attestato in Campania dal III secolo a.C. insediatosi nella costiera amalfitana, furono vinti dai romani che, nella romanizzazione dell’area, restaurarono la città[10]. Nel periodo della caduta dell’Impero Romano d’Occidente vi furono altri insediamenti.

Repubblica Amalfitana

«… la vetusta celebrità amalfitana non derivò dalla fantasticata topografia, né la grandezza di Amalfi consistette nell’iperbolico numero dei suoi abitanti; chè bensì l’uno e l’altra furono parto di sagacia, di bravura, di ingegno dei popoli costituiti nell’amalfitana confederazione»
(Filippo Cerasuoli, “Scrutazioni storiche, archeologiche, topografiche con annotazione e documenti della Città di Maiori”, 1865.)

Nell’842 le realtà urbane della costa (le città tra Lettere e Tramonti e tra Cetara e Positano, come anche Capri), si riunirono nella “Confederazione degli Stati Amalfitani”. I loro abitanti, in maniera collettiva, vennero chiamati “amalfitani”. Ogni città in quel periodo mantenne il proprio nome e la propria autonomia amministrativa, svolgendo un ruolo specifico nella Confederazione: Maiori fu sede dell’ammiragliato, della dogana, del fondaco del sale e di numerosi arsenali[8][10]. Si distinse poi nella pesca, nell’agricoltura, nel commercio e nell’industria cartaria[8].

Le città della Confederazione presero poi parte, nel 872[12], alla più antica repubblica marinara mai fondata, quella di Amalfi.

Durante questo periodo la città attuò una forte politica di fortificazione, con la costruzione di varie fortificazioni e bastioni[8] come quello di San Sebastiano (i cui resti si trovano sotto l’omonima chiesa), e castelli, come quello di San Nicola de Thoro-Plano (tuttora esistente), o la Rocca Sant’Angelo (di cui oggi non si hanno resti poiché sostituita dalla Collegiata di Santa Maria a Mare)[10].

Intorno al 1000 Maiori passò a fare parte del Principato di Salerno e ne seguì le vicende storiche.

Periodo saraceno, normanno e pisano

Dopo l’anno mille fecero la comparsa in Italia Meridionale i guerrieri normanni, assoldati di volta in volta nelle contese locali dal potente di turno. In particolare si segnalò la famiglia degli Altavilla, tra cui spiccava Roberto il Guiscardo, sposò la principessa di Salerno Sichelgaita, figlia del duca Guaimario IV, che nel 1076 assediò ed espugnò Salerno prendendo il titolo di Duca di Puglia, Calabria e Sicilia e quindi anche il potere sulla città maiorese. Fu durante la dominazione normanna della penisola che a Maiori venne costruita la Torre Salicerchio (tuttora esistente).

Nel XIII secolo venne rinvenuta nelle reti di alcuni pescatori una statua in legno di cedro della Madonna, questa sarà poi trasportata nella chiesa del Castello di San Michele Arcangelo ed eletta a patrona principale col titolo di Santa Maria a Mare[8], che sarà poi trasferito a tutta la pre-esistente chiesa.

In seguito alle invasioni prima saracene, poi pisane (saccheggi del 1135[8], del 1137[8] e del 1268[9][13]), e alla conquista normanna, Maiori visse un periodo di crisi che riportò l’economia locale all’agricoltura, alla pesca e all’artigianato: il lento declino dell’economia marittima maiorese contribuì ad un cambiamento dell’assetto urbano della città, che riprese a svilupparsi lungo il corso del Reginna Major e non più sulla costa[10]. A peggiorare la crisi ci fu poi nel 1343 un devastante maremoto menzionato anche in una lettera di Francesco Petrarca indirizzata al cardinale Giovanni Colonna, e nel 1348 l’arrivo della peste.

Nel 1415 ottenne la visita della Regina di Napoli Giovanna II, che soggiornò per tre giorni nella frazione “San Pietro” in località “Due Porte”

Regno di Sicilia

Nel 1505 Papa Giulio II promosse la Chiesa di Santa Maria a Mare al rango di “Insigne Collegiata“, dotandola di un Prevosto con insegne e poteri vescovili[8].

Passata al Regno di Sicilia, nel 1662 fu elevata a Città Regia dal Re di Sicilia Filippo III[8][14][15][16][17].

Durante questo periodo si verificarono due significative alluvioni; nel 1735 e nel 1773, ed una terribile pestilenza nel 1656[8].

Regno delle Due Sicilie

Passata al Regno delle Due Sicilie, Maiori è stata, dal 1811 al 1860, capoluogo dell’omonimo circondario appartenente al Distretto di Salerno.

Durante questo periodo si verificò un’epidemia di colera, nel 1837, e un’alluvione, nel 1846.

Regno d’Italia

Passata al Regno d’Italia col plebiscito del 1860, Maiori è stata fino al 1927 capoluogo dell’omonimo mandamento appartenente al Circondario di Salerno.

Durante questo periodo si verificò un’altra grave alluvione, nel 1910, che portò alla visita della città da parte del Re d’Italia Vittorio Emanuele III[18]. L’anno seguente invece ci fu un’altra epidemia di colera.

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