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SITO ARCHEOLOGICO di SANTA MARINA

C’era una volta, in contrada S. Marina, fra Raffo e Pellizzara, un bambino che, a pochi metri dalla sua casa di campagna, vide riaffiorare improvvisamente una remota civiltà. Un bel giorno, ai primi degli anni ’50, nella “maisa” intrapresa da suo padre per l’impianto di un vigneto, apparvero dei ruderi. Il padre di Tanino era Giuseppe Messineo, figura culturale di spicco della Petralia Soprana di quegli anni e fondatore della biblioteca comunale, e capì subito l’importanza della scoperta. L’apertura di una trincea esplorativa, con la collaborazione del dr Giosuè Meli, fece emergere cinque monconi di un colonnato, disposti in linea alla base di un paio di gradini, costituiti da blocchi calcarei di grandi dimensioni, oltre a pezzi di vasellame e ad alcuni grossi mattoni di terracotta. 

Le varie campagne di scavi
Nel 2008 si procedette con l’eliminazione dell’intero strato di terreno agricolo che ricopriva le strutture, a mezzo di escavatore e poi a mano. Si capì che i resti precedentemente scoperti appartenevano ad un insieme architettonico composto da un edificio con annessa corte munita di portico, il tutto situato su più livelli. Fra i reperti si contavano un lekithos del tipo Pagenstecher, simile a quelli ritrovati nella necropoli di Polizzi ad Alburchia e ad Alimena e una placchetta in osso recante un volto di Sileno.

Cos’era realmente Villa S. Marina?
Nel corso degli scavi, si sono alternate svariate ipotesi sulla funzione della struttura ritrovata, costituita da un complesso di ambienti interni, con un ampio cortile interno. Potrebbe trattarsi di  1) una villa rustica, destinata alla produzione di frumento e di altre derrate agricole, come le tante che nel periodo romano dovevano caratterizzare l’entroterra siciliano. Ne sarebbero la riprova le macine per frumento rinvenute negli anni ’50. A favore di questa ipotesi, sta il fatto che la zona di Santa Marina goda di condizioni climatiche molto favorevoli e di un terreno particolarmente fertile.  2) una sorta di “caravanserraglio” cioè di stazione di sosta per i viaggiatori e i commercianti di sale. Infatti a poca distanza troviamo il toponimo “Cozzo del Fondaco”, ma soprattutto distano soli 3 km le miniere di salgemma, e tale distanza è coperta da una regia trazzera che passa proprio ai piedi del sito archeologico. Inoltre l’ampiezza del cortile (oltre 30 m) ben si adatta ad accogliere un gran numero di muli. 3) un ingrosso del sale, dove sarebbe stato trasportato il salgemma scavato e qui venduto.

Le tombe Durante la campagna di scavo del 2013, è stata scoperta una sepoltura in terra, contenente i resti di una persona, privi di qualunque corredo. Le analisi antropologiche hanno dimostrato che si trattava di un uomo morto tra i 35 e i 45 anni. Durante la campagna di scavo del 2014, ad alcuni metri dalla prima sepoltura, ne è stata trovata un’altra, sopra la quale era stato costruito un muro, con il ritrovamento della sola parte alta del corpo di un uomo di 25-35 anni. Entrambi gli scheletri recavano segni che rivelavano un’intensa attività lavorativa in vita.  Nello strato che copriva questa seconda tomba, sono stati rinvenuti piccoli frammenti ossei pertinenti ad altri individui.  I resti ossei sono stati analizzati con il metodo del radiocarbonio dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Firenze e si è potuto così risalire alla loro epoca, seppure approssimativa, cioè nell’arco di qualche centinaio di anni: il primo scheletro è stato deposto tra la fine del IX secolo d.C. e gli inizi dell’XI secolo d.C., e il secondo, tra gli inizi del X sec. d.C. e la metà circa del XII sec. d.C. Siamo quindi a cavallo fra il periodo di dominazione araba in Sicilia e la conquista da parte dei normanni di Batraliah.