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DUOMO DI SAN PIETRO

Modica San Pietro 2006.jpg
Di Clemensfranz – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20496439

Un documento del vescovo di Siracusa ne attesta l’esistenza in sito nel 1396, ma la data della sua prima edificazione è da collocarsi dal 1301 al 1350 circa, come attestato dallo storico secentesco Placido Carafa.

Luogo di culto perfezionato nel 1504.[3]

Eretta in collegiata con bolla papale di Clemente VIII del 2 gennaio 1597, due secoli dopo per Decreto Regio di Carlo III di Borbone (1797), e in seguito a secolare disputa, è stata dichiarata chiesa madre al pari di San Giorgio, la chiesa “ufficiale” dei conti di Modica.

Danneggiata dal passare dei secoli e dalle frequenti scosse telluriche in quest’area ad alto rischio sismico, fu a più riprese ricostruita, ma alcuni elementi interni furono risparmiati dai crolli; si conserva ancora una cappella laterale dedicata all’Immacolata, che riporta la data del 1620 incisa sul cupolino, e che ha resistito anche al terremoto del 1693. I lavori di ricostruzione furono diretti da due capomastri locali, Rosario Boscarino di Modica e Mario Spada di Ragusa, potendo contare sulle cospicue rendite dei legati istituiti da due nobildonne, donna Petra Mazzara e donna Agata Caggia.

Contribuì alla ricostruzione del tempio la generosa elargizione di re Filippo IV,[4] che rinunciò a favore della chiesa al contributo annuale che la Contea versava al Real Patrimonio di Spagna.

Con l’autoproclamazione a chiesa madre del tempio dedicato a San Pietro, la chiesa “ufficiale” dei conti di Modica in quanto prossima al castello e in maggior misura finanziata dall’opulenta nobiltà modicana, ha inizio una acerrima e secolare disputa fra autorità capitolari sostenute dai fedeli e dai devoti delle contrapposte realtà parrocchiali.[5]

Scontri tra fazioni – sangiorgesi contro sanpietresi (Giorgesi e Pietresi) – che sfociavano spesso in scaramucce, intolleranti dispetti, determinata ignoranza e mancata osservanza di regole, sconfinamenti – anche durante i cortei processionali, futili motivi e pretesti che si tramutavano in provocazioni, non di rado concretizzandosi in fitte sassaiole, solenni bastonature collettive, mutui danneggiamenti, divieti di ogni genere. Giuseppe Pitrè riferisce di canzonature, epiteti volgari, insulti reciproci, coinvolgimento di bambini, minacce vicendevoli.[6]

A derimere le varie questioni canoniche o d’ordine pubblico erano chiamate a pronunciarsi di volta in volta sia la Consulta di Sicilia che la Curia Romana, senza trascurare i corsi e ricorsi che prolungavano all’infinito le diatribe legali.[7] Solo due secoli dopo per decreto regio di Carlo III di Borbone del 16 settembre 1797,[7] si pone fine alla prolungata questione, segnando fisicamente i confini territoriali, invitando chiunque a rispettare le disposizioni del sovrano.[8]